Rap contro Sarkozy. Chi vince e chi perde (?)

Un interessante articolo di Francesco Merlo sull’assoluzione del rapper francese Hamè dall’accusa, firmata dall’allora ministro degli interni Sarkozy, di diffamazione della polizia francese…

"vivere nei nostri quartieri significa avere una possibilià in più di subire l’abbandono economico, la vulnerabilità psicologica, la discriminazione sul lavoro, l’instabilità educativa e le crudeli umiliazioni della polizia"

E il rapper sconfisse Sarkò

PARIGI – La libertà di espressione è salva. Ma la polizia francese è assassina? Assolto dopo sei anni di processi, il piccolo cantante nero ha vinto, ma forse ha perso. E il grande Sarkozy ha perso, ma forse ha vinto. E ovviamente i conti non tornano perché non esistono partite dove vincono entrambi gli antagonisti. Di sicuro, martedì scorso la Corte d’ appello di Versailles ha definitivamente assolto il rapper Hamé dall’ accusa di avere diffamato la polizia.
Hamé è una delle tante voci cantanti dei malesseri della periferia parigina. Ed è stato processato per bene tre volte perché nel giugno del 2002 aveva scritto in un articolo che «i rapporti del ministero degli Interni non renderanno mai conto di centinaia di nostri fratelli abbattuti dalle forze di polizia senza che qualcuno degli assassini sia mai stato messo sotto inchiesta». Nel 2002 il ministro degli Interni era appunto Sarkozy, ed è inutile dire che proprio alla prestigiosa firma, messa in calce alla denunzia per diffamazione, Hamé e il suo gruppo devono notorietà e carriera come sempre accade alle famose mosche cocchiere – la definizione è di Togliatti – le quali dimenticano di essere appunto alimentate dal cavallo che pungono e contro il quale si accaniscono. E, infatti, Hamé pubblicò quell’ articolo-pamphlet a sostegno proprio del primo disco del suo gruppo rap "La Rumeur", che in francese è "il frastuono" ma anche "il brusio" e pure la notizia sussurrata e non verificata, cioè "la voce". Hamé era allora uno studente universitario ancora sconosciuto come artista, anche se aveva già la sua bella faccia rotonda e allegra «da ladro di notti e di musiche» sempre alla ricerca di «parole nuove», con «sulla pelle 365 cicatrici all’ anno» e «l’ unico desiderio di scappare da tutta questa merda». E ancora gli sembrava «inutile mormorare tutte quelle scemenze sull’ integrazione» perché comunque egli sarebbe rimasto «underground et subversif». Oggi Hamé possiede una sua casa discografica, ha una laurea in Cinema e una agiatezza da successo «underground et subversif». Ed è fiero di rifiutare di addolcire i suoi testi rap per le radio e le televisoni: «La nostra è musica di immigrati, non è musica francese».
Hamè è stato sempre assolto. Unica macchia giudiziaria è l’ annullamento del secondo processo d’ appello da parte della Cassazione che ritenne «troppo gravi ed eccessive» le parole del cantante contro la polizia. Da parte sua Sarkozy, superata la campagna elettorale e diventato presidente, probabilmente temeva più la condanna dell’ assoluzione, ma non poteva certo ritirare la denunzia perché avrebbe implicitamente ammesso di avere trattato il tema della sicurezza con intransigenza sotto le elezioni e, solo dopo, di affrontarlo invece con intelligente realismo politico. E va aggiunto che, dal punto di vista del pensiero astratto, in Francia, al contrario che in Italia, non c’ è ragione di credere che, in genere, la magistratura non abbia lo stesso sentire della presidenza della repubblica e del ministero degli interni.
E dunque al processo sono sfilati e si sono affrontati il buon senso e il senso comune. Il buon senso voleva che «nel paese della libertà di espressione le canzonette sono solo canzonette» e il senso comune che «non si può assumere senza scandalo l’ idea che la polizia è assassina». Testimone del buon senso è stato, per esempio, lo storico Murice Rajfus che ha contato 80 morti dal 1982 «quasi sempre minori di origine magrebina» e dunque ha aiutato Hamé che, in jeans maglietta e casquette abbandonata sulla gambe, ha spiegato che non si riferiva «a fatti precisi ma a un’ atmosfera di violenza nella quale uno dei protagonisti è sempre la polizia». Poi Hamé ha cominciato a scandire, proprio come in uno dei suoi rap, una ventina di nomi: «Malik Oussekine ucciso il 25 novembre 1986 con une balle dans la tête, Abdelkader Bouziane ~». Ma «cosa può pensare un giovane di banlieue leggendo questo suo scritto se non che i poliziotti sono tutti assassini impuniti?» replicava il senso comune del presidente. E Hamè evocava persino la violenza contro gli immigrati algerini del 1961, l’ anno del colpo di stato militare sconfessato da De Gaulle ma anche l’ anno del coprifuoco imposto ai musulmani come ha poi raccontato un altro storico specialista, Jean-Luc Einaudi: «I dispersi furono almeno 400, con 61 istruttorie aperte dal prefetto e tutte chiuse con un "non luogo a procedere"». E però tutti capivano che «solo un rapper in delirio poetico» può permettersi di paragonare la polizia di Papon del 1961 con quella di Sarkozy del 2002. E sono stati chiamati i linguisti a discettare del valore dell’ invettiva nella letteratura politica, «questo trasloco della lingua dalla testa allo stomaco, dal cervello alle viscere». La professoressa Dominique Lagorgette, specialista in pamphlet ha trovato, senza mostrare imbarazzo, «testi molti più violenti in Sade e in Voltaire» e ha poi spiegato che «è un genere aggressivo ma innocuo», anzi «l’ arte rap è semmai un controveleno, un antidoto» perché sicuramente le canzoni, e anche gli articoli che le accompagnano, non uccidono, e qualche volta persino guariscono dalla violenza. Insomma «la polizia assassina dei rapper è come i fuochi d’ artificio» e non si possono governare le pulsioni giovanili delle banlieue come si governa il traffico.
E così sono passati sei anni. La Francia si è impegnata a dibattere sul rap che è diventato «il solo momento banlieusard in cui è lecito insanire», con cui teatralizzare le pulsioni dei giovani emarginati «verso i quali bisognerebbe avere una mano più leggera di quella del presidente Sarkozy» ha sostenuto l’ avvocato Dominique Tricaut. Ma adesso che Hamé è stato definitivamente assolto, come del resto tutti gli altri rapper che in questi anni sono finiti sotto processo, si può davvero dire che ha vinto il buon senso contro il senso comune, ha vinto cioè la ragione politica di chi cerca di non esasperare le sensibilità irritate degli emarginati e ha perso il senso comune che vuole che la polizia rappresenti la garanzia dell’ ordinamento dello stato francese e non dell’ assassinio. Grazie dunque ad un’ imbrogliata sentenza postmoderna, Hamé vince perdendo l’ occasione storica di diventare l’ eroe romantico della banlieue, e il presidente Sarkozy perde vincendo: non sarà lui il cieco censore di un canto che in tribunale sembra persino avere un’ etica. Ma chi conosce un po’ la periferia parigina e il suo popolo di disintegrati, chi ricorda il fuoco, le ferite e gli spari del 2005 capisce che lo stato francese si permette di assolvere il rap con un gran dibattito politico, culturale ed etico, solo perché sa esibire la forza sul vero campo di battaglia.
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