La precarietà esistenziale come identità sociale: una operazione ideologica

pillole di analisi sociologica per tutti voi allevati da Mike Bongiorno, pigri di testa e ben vestiti

 

di Filippo Viola. Professore di Sociologia, Fac. di Sociologia,
Univ. “La Sapienza” 

Premessa
Sulla soggettività
sociale incombe una complessa operazione ideologica
. A partire da
ben noti processi in atto, dalla destabilizzazione del rapporto di
lavoro alla disarticolazione della vita sociale, si tenta di
innescare una prospettiva inquietante: “sradicare” dalla
coscienza collettiva la vecchia identità connotata dalla stabilità
della prospettiva di vita, per “trapiantarvi” una identità di
nuovo conio, che si riconosca nella condizione di precarietà
esistenziale.

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Le grandi decisioni (2)

"Di regola, le grandi decisioni della vita umana hanno a che fare più con gli istinti e altri misteriosi fattori inconsci che con la volontà cosciente, le buone intenzioni, la ragionevolezza." Carl Gustav Jung (1875-1961)

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Recensione de “Il perfezionamento dello spreco”

Un incontro virtuale con il Laboratorio Musicale Aperto EOS che ci ha fatto scoprire un album notevole e una persona a cui va tutta la nostra stima. Inauguriamo nel migliore dei modi quella che si spera essere un’appasionata serie di recensioni "dal basso".

Quello del Laboratorio Musicale Aperto EOS è uno dei pochissimi progetti
attivi in Italia che tenta - ambiziosamente - di superare i rassicuranti
confini delle sette note intrecciando la propria produzione musicale con la
letteratura, la performance teatrale, alcune suggestioni cinematografiche,
l'(auto)analisi sociale e la critica politica con la P maiuscola.
Sperimentando, quindi, nuove soluzioni sonore e attingendo a piene mani sia dai
rumori della vita di tutti i giorni che dalle grandi opere artistiche del
passato. Sulle spalle l'eredità pesante di una certa avanguardia rock
degli anni 70 alla Faust, alla Residents e alla Battiato, attualizzata
anche grazie ad un utilizzo sapiente della tecnologia digitale che sfocia
in una produzione a bassa fedeltà molto consapevole dei propri mezzi. 
Il perfezionamento dello spreco, che con questo titolo omaggia l'opera di
Marcuse e la critica della società consumistica della Scuola di
Francoforte (e ben si sposa anche con la foto di copertina di Chris Jordan),
è il primo album composto e registrato da Demetrio Scelta, già co-autore
di Agosto, e da Alessio Chiappelli, che mette in campo, tra le altre cose,
una voce eclettica ed espressiva. 
Si parte subito con una citazione dal John Cage più impertinente per
approdare alla Tragedia delle foglie, dove un atmosfera alla Bachi da
pietra o alla Massimo Volume incontra un testo di Bukowski lasciando subito
trasparire un attenzione particolare per i testi che segnerà tutto il
lavoro, soprattutto nelle sue parti originali. Un basso pulsante alla Joy
Division caratterizza invece Mirò e precede un'inaspettata cover degli
Afterhours. Splendida l'interpretazione che i due danno di Lilicka (In
luogo di una lettura) di Majakovskij così come Consapevolezza, dove
ritmiche mediorientali intervallano le liriche crude e profonde di
Demetrio. Ancora spazio alla voce di Alessio nel divertissement di Eufonia
e subito dopo lo spaesamento di Tentativi di Fuga, si approda alla
Paralisi della Critica, il pezzo forte di tutto il lavoro, dove la sosta è
obbligata e l'unico sbocco possibile è una definitiva Alienazione, cupa ed
ossessiva. “L'Italia è una repubblica fondata sulle veline”,
“qualcuno pretenderà i diritti sullo sfruttamento della paura prima o
poi, oppure già l'incassa” “Benvenuti nella società senza
opposizione”: sono gli annunci gelidi che avrebbe urlato un Giovanni
Lindo Ferretti se non avesse mai vissuto la guerra fredda. Il tutto mentre
i ritmi e i rumori della società industriale, magnificamente immortalati
dai primi dischi degli Einsturzende Neubauten, si sgretolano per fare
spazio all'elettronica e alle manipolazioni digitali. 
Un disco che è un inno alla presa di coscienza delle potenzialità
inespresse, allo sguardo critico su tutto ciò che ci riguarda da vicino,
alle forzature ed al coraggio. Un disco molto bello, da ascoltare e poi da
riascoltare almeno tre volte. Un disco con i piedi ben piantati nella
propria epoca e lo sguardo rivolto verso un orizzonte sempre più offuscato
dalla sete di profitto, dal trionfo del voler apparire a tutti i costi, dall'incapacità di
mettere in piedi un'alternativa che muova da istanze collettive. Un disco
che, di sicuro, non è in cerca di colpevoli ma di responsabili. 
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Musica e politica sono un binomio ambiguo. Come vedi questo rapporto?

Questa è una domanda semplice semplice rivolta da Leonardo Clausi a Matthew Herbert, uno che nel campo della musica elettronica ha pochi rivali (tra i quali spicca il nostro K-conjog)… "capovolgere la prospettiva è un ragionamento intelligente!"

Musica e politica sono un binomio ambiguo. Come vedi questo rapporto?

Tutti pensano che la musica politicizzata sia di sinistra. Poi hai uno come 50 Cent che incita a fare soldi in tutti i modi possibili, a guardare alle donne eterosessuali in un certo modo, guidare auto costose, usare violenza contro i tuoi nemici: non sono gli stessi messaggi del governo americano? Io dico che è meglio non ammazzare le persone, che dovremmo salvaguardare l’ambiente, che respirare aria pulita è bello e fa bene: e sono considerato controverso. Mentre un film come Quantum of Solace, dove il protagonista è in tuxedo con un mitra pronto ad alimentare l’immaginario di bambini di nove anni, non lo è. È un mondo incredibile, incredibile. Ma di cosa cazzo altro possiamo parlare, quando siamo circondati da questa roba? Della mia fidanzata? Della chitarra che ho appena comprato? Non vedo storie più irresistibili. Una volta, a una conferenza stampa, un giornalista spagnolo mi ha criticato per questo. Allora gli ho chiesto di suggerirmi lui qualcosa di cui scrivere. Ci fu un lungo silenzio.

 

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Le grandi decisioni

A proposito della tecnologia, di internet, della comunicazione, di me, di te e di questo blog del cazzo:

"Il mondo vive là fuori, a portata di mano, ma irraggiungibile. Sappiamo tutto quel che accade oltre la soglia che ci separa dalla sfera pubblica. Possiamo addirittura influire sugli avvenimenti esterni. Ma non possiamo essere nel mondo. Possiamo solo guardare."

I.Domanin

 

Queste parole non sono uscite di getto, sono mesi che vengono continuamente ritoccate. 

Le grandi decisioni

divorzi e comunioni

si pagano in soldoni

senza dimostrazioni

nè raccomandazioni

le grandi decisioni

non danno spiegazioni

 

Le grandi decisioni 

come le imbarcazioni

affettano le onde

affrontan lampi e tuoni

e come le elezioni

le grandi decisioni

non chiedono opinioni

 

Chiudi gli occhi, sta sfilando una fatalità

a sirene inspiegate e il cuore che schizza

Follemente, non c’è niente che ci tratterà

prima stesi su un sofà, poi in un cielo all’aldiquà

due sballati

in viaggio

per l’eternità

 

Le grandi decisioni

si credono i padroni

del mondo, della vita

e di altre percezioni

quand’io convertirei

le vostre obbligazioni

in grandi narrazioni

 

Le grandi decisioni

senza speculazioni

potranno rimanere

le nostre conclusioni

e di diventare grandi

io non ci credo più

qui fuori al mamamu

 

Chiudi gli occhi, sta sfilando una fatalità

a sirene inspiegate e il cuore che schizza…

follemente, non c’è niente che ci tratterà

prima stesi su un sofà, poi in un cielo all’aldiquà

due sballati

in viaggio

per l’eternità

 

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Apri gli occhi, è scoppiata la normalità

e lecchi i nuovi tagli alla sanità…

… poi un momento, s’alza il vento e tornano qui

tutte le idiosincrasie

quelle stane fantasie

e in questo brusio ti volti e 

son

qua

io

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Gli autori colpevoli

A Boris Vian, un amante della buona cucina.

"Il cliente ha sempre ragione a esigere dei frigoriferi solidi e delle quattrocavalli che non siano in formaggio a pasta molle. Ugualmente ha ragione ad esigere, se un perfezionamento sta per essere apportato all’automobile, che il costruttore ne tenga conto; pagando, naturalmente. […]

Al contrario, in ambito intellettuale (conserviamo, in mancanza di meglio, questo termine; la canzone fa parte di un ambito particolare dell’espressione e si conviene qualificare queste cose come intellettuali…) abbiamo evidenziato che, essendo l’imbecillità più aggressiva dell’intelligenza, e visto che i modelli da seguire sono spesso sommersi dalle imitazioni, lo slogan del cliente giunge immancabilimente al magistero dei somari e dei khojons.

E del resto chi ha introdotto nell’ambito della canzone questo termine di clienti? Il pubblico paga la canzone che ascolta, è chiaro; per via indiretta, naturalmente, ma paga: canoni alla radio, posti nei music-hall, percentuali sulla vendita dei tascabili e dei dischi; qualcosa finisce per arrivare all’autore, al compositore e all’editore…

Ma se il pubblico non pagasse… e se non ci fosse pubblico, ci sarebbero comunque gli autori, le canzoni e i cantanti.

Ecco cosa dimenticano sempre gli autori colpevoli. L’autore colpevole è quello che, sconfitto in partenza, afferma, con un cinismo reale o affrettato: perchè si possa vendere, è necessario che sia una m…

Ecco che si tradiscono subito. E’ il loro perchè si possa vendere che li tradisce.

Naturalmente, se si vuole guadagnare molto denaro, si ha interesse a radunare clienti in gran numero. Ma, in materia di canzone, l’estensione di questa clientela dipende dalla misura in cui ci si preoccupa della sua qualità. La relazione col pubblico è uno scambio e ognuno dei due termini si riflette sull’altro.

Abbiamo parlato di macchine; spingiamo un pò più lontano l’analogia. Nel campo dei costruttori di automobili, c’è la Rolls-Royce a un capo; c’è, mettiamo, la Volkswagen all’altro. Da un lato la perfezione meccanica, la macchina che circola per trent’anni senza problemi; dall’altro, la piccola vettura economica che, tenuto conto del suo prezzo, fa quello che può, e molto bene.

Queste due vetture camminano; ma la Rolls costa dieci volte più della Volkswagen: è dunque normale che ci sia tra le due una differenza di qualità.

Ma una buona canzone non costa di più al pubblico di una cattiva, ed è lì che cessa l’analogia. E’ all’autore e al compositore che essa costa un maggiore sforzo… uno sforzo molto piacevole.

Pertanto, quotidianamente, in questo mondo della canzone, voi incontrerete l’autore, l’editore o il compositore che vi ripeteranno, disincantati: perchè si possa vendere, è necessario che sia una m…

Si potrebbe credere, di fronte a tale lucidità, che la m…, una volta espulsa, essi continuino a considerarla come tale; ma basta un pò di attesa e questa m…, grazie ai loro sapienti lavori, comincia, osiamo dirlo, a produrre dei redditi.

Basta apettare e li vedrete voltar casacca e dire a se stessi che dopotutto questa sozzeria, poichè funziona… e tanto, risultava essere buona!… Forse era proprio arte! Quella con la A maiuscola!

Poche storie, miei cari colleghi. Quelli tra di voi che non sono idioti (qualcuno si salva) sanno come me che non è quel che viene preferito che funziona meglio. Appena si comincia a tentare di dedicarsi esclusivamente alla canzone, tanto da viverne, si è portati ad accettare un adattamento che vi ispira poco, una musica che non vi tenta affatto o dlle parole che vi lasciano freddi ma che piacciono ad una star che amate molto. Non lanciamo l’anatema della canzone "commerciale". Ma per favore proviamo almeno a fare una Volkswagen, se non ne possiamo fare una Rolls. Soltanto Rolls sarebbe monotono, è vero… soltanto Volks anche, d’accordo… ma esclusivamente delle bagnarole guaste sarebbe ancora più insopportabile, no?

Non abbiamo qui nessun conto da regolare con qualcuno; ma c’è un’etica per ogni mestiere. Se si tratta di un mestiere, che lo si faccia onestamente; e se il cliente richiede carne avariata, che gli si dica mi dispiace. Ma se non si hanno idee solide su ciò che si vuole, che non gli si rifili della carne avariata presentandogliela come filetto… […]

Mettiamo da perte il caso degli irresponsabili (questo per riservarmi una via d’uscita se mai dovessi scrivere una canzone troppo squallida…) e insultiamo allegramente gli autori, i compositori e i parolieri che agiscono male giornalmente e volontariamente in piena coscienza e in piena tranquillità. Non hanno che una protezione: il loro conto in banca a volte sfacciato; ma vicino a Onassis, da questo stesso punto di vista, essi sono completamente ridicoli. E’ molto facile avvilire il gusto del pubblico; è in egual misura possibile migliorarlo. […]

Le persone spregevoli, in conclusione, sono quelle che giustificano la propria mediocrità ostentando il disprezzo verso il pubblico"

Da Musika e dollaroni. Contro l’industria della canzone

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Michael Moore contro il piano anti-crisi

Certo appellarsi ad Obama suona piuttosto grottesco (il piano l’ha concordato lui in prima persona insieme a Bush!)… ma di questi tempi un artista che interviene in maniera sensata su un argomento di attualità politico-economica così importante è davvero merce rara!

Ecco l’appello del cineasta americano contro il piano anti crisi Bush-Obama(!):

da Il Manifesto di ieri:

STATI UNITI
La grande rapina
«Il governo Bush sta saccheggiando le casse dello stato». Appello del cineasta attivista contro il piano anti-crisi
Michael Moore

Cari amici, permettetemi di andare subito al sodo. Mentre leggete queste righe, è in corso la più grande rapina della storia di questo paese. Anche se non sono servite le armi da fuoco, 300 milioni di persone sono state prese in ostaggio e fatte prigioniere. Potete giurarci: dopo aver rubato 500 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni per riempire le tasche dei loro sostenitori che fanno profitti grazie alla guerra, dopo avere riempito le tasche dei loro amici petrolieri al ritmo di più di cento miliardi di dollari solo negli ultimi due anni, Bush e i suoi compari – che presto dovranno traslocare dalla Casa Bianca – stanno saccheggiando le casse dello stato arraffando ogni dollaro su cui riescono a mettere le grinfie. Stanno rubando tutta l’argenteria prima di accomodarsi alla porta. Qualunque cosa dicano, qualunque discorso usino per terrorizzare la gente, si stanno dedicando ai loro vecchi trucchi: creare paura e confusione per continuare ad arricchirsi e ad arricchiare quell’uno% che è già schifosamente ricco.

 Leggete soltanto le prime quattro frasi del servizio di apertura apparso sul New York Times di lunedì 22 settembre e potrete constatare qual è la vera posta in gioco:

«Mentre i policy makers mettevano a punto i dettagli di un’operazione di salvataggio dell’industria finanziaria da 700 miliardi di dollari, Wall Street ha cominciato a cercare il modo di guadagnarci sopra. Le società finanziarie hanno fatto pressione per ottenere la copertura di ogni tipo di investimento traballante, e non solo di quelli collegati ai mutui ipotecari… Nessuno vuole essere tagliato fuori dalla proposta del Tesoro di comprare i bad asset delle istituzioni finanziarie».

Incredibile. Wall Street e i suoi sostenitori hanno combinato questo disastro e ora si stanno preparando a fare un sacco di soldi, come dei banditi. Persino Rudy Giuliani sta facendo pressione perché la sua società sia incaricata (e pagata) per fornire «consulenza» nell’operazione di salvataggio.

Il problema è che nessuno è veramente in grado di quantificare questo «crollo». Anche il ministro del tesoro Paulson ha ammesso di non sapere quale sia esattamente l’ammontare necessario (la cifra di 700 miliardi di dollari è una sua invenzione!). Il capo dell’ufficio del bilancio al Congresso ha detto che non è in grado di calcolarlo né di spiegarlo a nessuno. Eppure, eccoli lì a strepitare su quanto la fine è vicina! Panico! Recessione! La Grande Depressione! Il baco del millennio! L’influenza aviaria! Le api assassine! Dobbiamo approvare la manovra oggi stesso!! Casca il mondo! Casca la terra! Cascare da cosa? Niente in questa operazione di «salvataggio» abbasserà il prezzo del carburante che dovete mettere nella vostra macchina per andare al lavoro. Niente in questa proposta di legge vi proteggerà dal rischio di perdere la vostra casa. Niente in questa manovra vi darà l’assicurazione sanitaria. Assicurazione sanitaria? Mike, perché la tiri in ballo? Che c’entra con il crollo di Wall Street? C’entra e come. Questo cosiddetto «crollo» è stato scatenato dall’enorme quantità di persone impossibilitate a pagare il mutuo di casa, e dai conseguenti pignoramenti. Sapete perché così tanti americani stanno perdendo la propria abitazione? A sentire i repubblicani, perché troppi idioti della working class hanno contratto dei mutui che in realtà non si potevano permettere di pagare. Ecco la verità: la Causa Numero Uno per cui la gente dichiara bancarotta sono le spese mediche . Ve lo dico in modo semplice: se avessimo avuto tutti l’assistenza sanitaria universale, questa «crisi» dei mutui non ci sarebbe mai stata.

La missione di questa manovra di salvataggio è proteggere l’oscena quantità di ricchezza che si è accumulata negli ultimi otto anni. Serve a proteggere i grandi azionisti che possiedono e controllano le corporations americane. Serve a garantire che i loro yacht, le loro tenute, il loro «stile di vita» non siano intaccati mentre il resto dell’America soffre e lotta per pagare le bollette. Che per una volta siano i ricchi a soffrire. Che ci pensino loro a pagare la manovra. Stiamo spendendo 400 milioni di dollari al giorno per la guerra in Iraq. Che la fermino immediatamente, facendo risparmiare a tutti noi altri 500 miliardi di dollari! Devo smetterla di scrivere queste cose e voi dovete smetterla di leggerle.

Stamattina nel nostro paese stanno mettendo a segno un golpe finanziario. Sperano che i membri del Congresso si sbrighino, prima di fermarsi a pensare, prima che noi riusciamo a fermarli. Perciò smettete di leggere qui e fate qualcosa… adesso! Ecco cosa potete fare immediatamente:

1. Chiamate il Senatore Obama o mandategli una mail. Ditegli che non c’è bisogno che se ne stia seduto là a sostenere Bush e Cheney e il disastro che hanno combinato. Ditegli che sappiamo che è abbastanza in gamba da fermare questa cosa per poi decidere qual è la strada migliore da prendere. Ditegli che i ricchi devono pagare per qualunque aiuto venga loro offerto. Usate la leva che abbiamo per pretendere una moratoria dei pignoramenti delle abitazioni, per insistere nella richiesta dell’assistenza sanitaria, e ditegli che noi, il popolo, dobbiamo avere voce in capitolo nelle decisioni economiche che riguardano la nostra vita, e non i baroni di Wall Street.

2. Scendete in piazza. Partecipate a una delle centinaia di dimostrazioni convocate in fretta e furia e che si stanno svolgendo in tutto il paese (specialmente quelle vicino Wall Street e Washington).

3. Chiamate il vostro rappresentante al Congresso e i vostri Senatori. Ditegli quello che avete detto al Senatore Obama.

Quando nella vita abbiamo incasinato tutto, ci aspettano un bel po’ di guai. Ognuno di voi conosce questa lezione fondamentale e presto o tardi ha pagato le conseguenze delle sue azioni. In questa grande democrazia non possiamo permettere che ci siano delle regole per la stragrande maggioranza dei cittadini che lavorano sodo, e delle regole diverse per le élite che, quando combinano un disastro, si vedono offrire l’ennesimo regalo su un piatto d’argento. Ora basta!

(Traduzione Marina Impallomeni )

 

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Rap contro Sarkozy. Chi vince e chi perde (?)

Un interessante articolo di Francesco Merlo sull’assoluzione del rapper francese Hamè dall’accusa, firmata dall’allora ministro degli interni Sarkozy, di diffamazione della polizia francese…

"vivere nei nostri quartieri significa avere una possibilià in più di subire l’abbandono economico, la vulnerabilità psicologica, la discriminazione sul lavoro, l’instabilità educativa e le crudeli umiliazioni della polizia"

E il rapper sconfisse Sarkò

PARIGI – La libertà di espressione è salva. Ma la polizia francese è assassina? Assolto dopo sei anni di processi, il piccolo cantante nero ha vinto, ma forse ha perso. E il grande Sarkozy ha perso, ma forse ha vinto. E ovviamente i conti non tornano perché non esistono partite dove vincono entrambi gli antagonisti. Di sicuro, martedì scorso la Corte d’ appello di Versailles ha definitivamente assolto il rapper Hamé dall’ accusa di avere diffamato la polizia.
Hamé è una delle tante voci cantanti dei malesseri della periferia parigina. Ed è stato processato per bene tre volte perché nel giugno del 2002 aveva scritto in un articolo che «i rapporti del ministero degli Interni non renderanno mai conto di centinaia di nostri fratelli abbattuti dalle forze di polizia senza che qualcuno degli assassini sia mai stato messo sotto inchiesta». Nel 2002 il ministro degli Interni era appunto Sarkozy, ed è inutile dire che proprio alla prestigiosa firma, messa in calce alla denunzia per diffamazione, Hamé e il suo gruppo devono notorietà e carriera come sempre accade alle famose mosche cocchiere – la definizione è di Togliatti – le quali dimenticano di essere appunto alimentate dal cavallo che pungono e contro il quale si accaniscono. E, infatti, Hamé pubblicò quell’ articolo-pamphlet a sostegno proprio del primo disco del suo gruppo rap "La Rumeur", che in francese è "il frastuono" ma anche "il brusio" e pure la notizia sussurrata e non verificata, cioè "la voce". Hamé era allora uno studente universitario ancora sconosciuto come artista, anche se aveva già la sua bella faccia rotonda e allegra «da ladro di notti e di musiche» sempre alla ricerca di «parole nuove», con «sulla pelle 365 cicatrici all’ anno» e «l’ unico desiderio di scappare da tutta questa merda». E ancora gli sembrava «inutile mormorare tutte quelle scemenze sull’ integrazione» perché comunque egli sarebbe rimasto «underground et subversif». Oggi Hamé possiede una sua casa discografica, ha una laurea in Cinema e una agiatezza da successo «underground et subversif». Ed è fiero di rifiutare di addolcire i suoi testi rap per le radio e le televisoni: «La nostra è musica di immigrati, non è musica francese».
Hamè è stato sempre assolto. Unica macchia giudiziaria è l’ annullamento del secondo processo d’ appello da parte della Cassazione che ritenne «troppo gravi ed eccessive» le parole del cantante contro la polizia. Da parte sua Sarkozy, superata la campagna elettorale e diventato presidente, probabilmente temeva più la condanna dell’ assoluzione, ma non poteva certo ritirare la denunzia perché avrebbe implicitamente ammesso di avere trattato il tema della sicurezza con intransigenza sotto le elezioni e, solo dopo, di affrontarlo invece con intelligente realismo politico. E va aggiunto che, dal punto di vista del pensiero astratto, in Francia, al contrario che in Italia, non c’ è ragione di credere che, in genere, la magistratura non abbia lo stesso sentire della presidenza della repubblica e del ministero degli interni.
E dunque al processo sono sfilati e si sono affrontati il buon senso e il senso comune. Il buon senso voleva che «nel paese della libertà di espressione le canzonette sono solo canzonette» e il senso comune che «non si può assumere senza scandalo l’ idea che la polizia è assassina». Testimone del buon senso è stato, per esempio, lo storico Murice Rajfus che ha contato 80 morti dal 1982 «quasi sempre minori di origine magrebina» e dunque ha aiutato Hamé che, in jeans maglietta e casquette abbandonata sulla gambe, ha spiegato che non si riferiva «a fatti precisi ma a un’ atmosfera di violenza nella quale uno dei protagonisti è sempre la polizia». Poi Hamé ha cominciato a scandire, proprio come in uno dei suoi rap, una ventina di nomi: «Malik Oussekine ucciso il 25 novembre 1986 con une balle dans la tête, Abdelkader Bouziane ~». Ma «cosa può pensare un giovane di banlieue leggendo questo suo scritto se non che i poliziotti sono tutti assassini impuniti?» replicava il senso comune del presidente. E Hamè evocava persino la violenza contro gli immigrati algerini del 1961, l’ anno del colpo di stato militare sconfessato da De Gaulle ma anche l’ anno del coprifuoco imposto ai musulmani come ha poi raccontato un altro storico specialista, Jean-Luc Einaudi: «I dispersi furono almeno 400, con 61 istruttorie aperte dal prefetto e tutte chiuse con un "non luogo a procedere"». E però tutti capivano che «solo un rapper in delirio poetico» può permettersi di paragonare la polizia di Papon del 1961 con quella di Sarkozy del 2002. E sono stati chiamati i linguisti a discettare del valore dell’ invettiva nella letteratura politica, «questo trasloco della lingua dalla testa allo stomaco, dal cervello alle viscere». La professoressa Dominique Lagorgette, specialista in pamphlet ha trovato, senza mostrare imbarazzo, «testi molti più violenti in Sade e in Voltaire» e ha poi spiegato che «è un genere aggressivo ma innocuo», anzi «l’ arte rap è semmai un controveleno, un antidoto» perché sicuramente le canzoni, e anche gli articoli che le accompagnano, non uccidono, e qualche volta persino guariscono dalla violenza. Insomma «la polizia assassina dei rapper è come i fuochi d’ artificio» e non si possono governare le pulsioni giovanili delle banlieue come si governa il traffico.
E così sono passati sei anni. La Francia si è impegnata a dibattere sul rap che è diventato «il solo momento banlieusard in cui è lecito insanire», con cui teatralizzare le pulsioni dei giovani emarginati «verso i quali bisognerebbe avere una mano più leggera di quella del presidente Sarkozy» ha sostenuto l’ avvocato Dominique Tricaut. Ma adesso che Hamé è stato definitivamente assolto, come del resto tutti gli altri rapper che in questi anni sono finiti sotto processo, si può davvero dire che ha vinto il buon senso contro il senso comune, ha vinto cioè la ragione politica di chi cerca di non esasperare le sensibilità irritate degli emarginati e ha perso il senso comune che vuole che la polizia rappresenti la garanzia dell’ ordinamento dello stato francese e non dell’ assassinio. Grazie dunque ad un’ imbrogliata sentenza postmoderna, Hamé vince perdendo l’ occasione storica di diventare l’ eroe romantico della banlieue, e il presidente Sarkozy perde vincendo: non sarà lui il cieco censore di un canto che in tribunale sembra persino avere un’ etica. Ma chi conosce un po’ la periferia parigina e il suo popolo di disintegrati, chi ricorda il fuoco, le ferite e gli spari del 2005 capisce che lo stato francese si permette di assolvere il rap con un gran dibattito politico, culturale ed etico, solo perché sa esibire la forza sul vero campo di battaglia.
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Post to Woody

Su www.lev02.altervista.org c’è "Hanno ucciso Ulrike Meinhof", il nostro primo disco ed il nostro centoquindicesimo sogno che si realizza. Avrebbe potuto intitolarsi anche "Dall’interno/dall’esterno" (scartato perchè didascalico) oppure "Si, più o meno ho capito… ma da dove cazzo escono ‘sti ceci?" (scartato perchè volgare). Oppure così:  

"Non sopporto le canzoni che ti fanno sentire inadeguato. Non sopporto le canzoni che ti fanno pensare di essere nato per perdere. Destinato a perdere. Non fanno bene a nessuno. Non fanno bene per niente. E perchè tu sei troppo vecchio o troppo giovane, troppo grasso o troppo magro, o troppo brutto, e troppo qui e troppo là. Canzoni che ti buttano giù, che non tengono conto della tua cattiva sorte o di quanto hai tribolato. Sono qui per combattere contro questo genere di canzoni finchè avrò fiato in corpo e finchè avrò sangue nelle vene. Sono qui per cantare le canzoni che ti dimostrano che questo qui è il tuo mondo e che, anche se ti ha colpito duramente e buttato al tappeto almeno una dozzina di volte, non l’ha certo fatto per il colore della tua pelle, e neppure perchè sei grande o piccolo o per la taglia che porti, sono qui per cantare le canzoni che ti fanno sentire orgoglioso di ciò che sei e di quello che fai." Guthrie  (scartato perchè lungo)

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…here’s the Lev!

Ebbene si, siamo pronti, siamo al gran completo e con il solito entusiamo condito da una massiccia dose di pressapochismo!

Totalmente autoprodotto (ci mancava solo che ci costruivamo le chitarre…) e a brevissimo liberamente scaricabile dal sito (tenete d’occhio www.lev02.altervista.org), è pronta "Hanno ucciso Ulrike Meinhof" la prima fatica (per chi ci sta intorno, mica per loro) dei Lev.

La cosa più bella che poteva capitarci era poi di presentare questo risultato scalcitante di una gravidanza desideratissima nella migliore trasmissione musicale che conosciamo… and sometimes dreams come true! Tenetevi liberi quindi il prossimo lunedì sera, 2 Giugno 2008 e sintonizzatevi verso le 8 e mezza (ma anche 9, si è capito ormai che la puntualità non è la specialità dei Lev!) sulle frequenze di Radiolina 104.90 Fm, la radio pirata napoletana in diretta da Officina 99 che trasmette anche in streaming sul sito www.inventati.org/radiolina e che potete ascoltare live cliccando su "appiccia a radio!" in alto a destra.

E non è mica un caso che siamo ospiti di KorovaMilkBar proprio in questa data… Subito dopo le dichiarazioni retoriche di Napolitano e co. nell’edizione serale del tg3 provate ad ascoltare cosa hanno da dirvi i Lev e Zio Fabio sulle ipocrisie e le contraddizioni di questa che più di uno si ostina ancora a chiamare Repubblica! Il tutto inframezzato da musica di alto livello (qui già si preparano i cd dei Fugazi e dei Gang of four…) e le grida di battaglia del nostro inimitabile dj….stay tuned!!!

I punk dicono: Ok, noi suoniamo distorto e veloce e allora? Ecco, a me piace quel: e allora?. Frank Zappa

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